Perché investire nell’Inbound Marketing? Perché preferire contenuti targettizzati e messaggi personalizzati a chiamate a freddo e comunicazioni 1-to-many per parlare ai propri clienti?
Perché essere trovati invece di cercare, attirare l’attenzione anziché invadere di email standardizzate e banner intrusivi?
Se lo stanno chiedendo in tanti e l’interrogativo tormenta le ore d’ufficio di molti marketers.
Ecco qui di seguito 6 buone ragioni per investire nell’Inbound Marketing.
Gli algoritmi che governano motori di ricerca e social media, uniti alla crescita esponenziale dell’uso dei dispositivi mobili (Google, 2015), hanno stravolto il modo in cui i consumatori si informano, valutano un prodotto o un servizio, interagiscono con un brand e lo scelgono.
I comportamenti d’acquisto sono cambiati e il marketing deve adattarsi di conseguenza.
Fino a qualche anno fa i consumatori erano destinatari passivi di messaggi unificati, oggi invece sono utenti affamati di contenuti, contributori attivi e attenti ascoltatori dei social e della rete. La facilità di accesso alla mole di informazioni presenti sul web - siamo quasi a 2 miliardi di siti - ci ha resi, da una parte, più autonomi nelle valutazioni e decisioni d’acquisto e, dall’altra, meno attenti a tutto ciò che non risponde agli interessi personali o non è coerente rispetto alla query del momento.
L’Inbound Marketing si adatta meglio a questi cambiamenti perché, partendo dalla definizione di un identikit dei clienti ideali (le buyer persona), ha l’obiettivo di fornire contenuti interessanti per l’utente che li sta ricercando, nel momento in cui ne ha bisogno, attraverso il canale di comunicazione più adeguato.
Definire un identikit del cliente ideale, arricchendo il suo profilo di dati che vanno oltre quelli demografici e abbracciano interessi personali, obiettivi professionali e abitudini online, non basta.
L’approccio Inbound, per mezzo di azioni mirate e misurabili realizzate attraverso gli strumenti più opportuni, permette di accompagnare il potenziale cliente in ogni fase del suo ciclo di vita, lungo quello che viene definito funnel (letteralmente “imbuto”) di vendita.
Pensare al customer journey come se fosse un imbuto permette di pianificare la tipologia di informazioni da trasmettere, scegliere i tool più adatti da utilizzare e quantificare le risorse necessarie in un determinato momento per soddisfare le esigenze informative del cliente, che si evolvono del tempo.
La possibilità di monitorare l’efficacia delle azioni di marketing e la maturità del pubblico di riferimento in base a specifici indicatori (KPI) rappresenta un’altra motivazione per investire nell’Inbound Marketing.
Aumentare le visite sul sito aziendale e generare lead per la parte commerciale sono le priorità del marketing nel 2018 (HubSpot, 2018).
La vecchia logica Outbound di sparare nel mucchio - una mail identica per ogni contatto della lista, un banner univoco per ogni utente che atterra sul sito - sperando di centrare il bersaglio, è finita.
Investire nell’Inbound Marketing, oltre a far leva sulla SEO, significa adottare un approccio comunicativo 1-to-1, personalizzato in base a parametri che vanno al di là di quelli demografici e differenziato per ogni buyer persona individuata.
Offrire il contenuto giusto all’utente giusto accresce enormemente le probabilità che il messaggio arrivi a destinazione e che l’utente visiti un blog, apra una mail, interagisca con un post sui social o richieda informazioni tramite una call-to-action.
Secondo l’85% dei marketers, la maggiore qualità ed efficienza nella produzione dei contenuti è il fattore principale che ha portato a un miglioramento del ROI delle azioni di marketing (Content Marketing Institute, 2017).
In un mondo in cui prodotti e servizi si assomigliano sempre di più, infatti, la differenza si gioca sulla capacità di accompagnare i consumatori nel loro percorso decisionale grazie a contenuti rilevanti per i suoi bisogni (di informazione, svago, sicurezza), consistenti nel tempo, coerenti nella forma (dalle infografiche agli e-book, dai white paper ai manuali) e nel livello di dettaglio rispetto al suo customer journey (le varie fasi del funnel).
Solo dei contenuti che hanno un valore per il target di riferimento possono trasformare un visitatore anonimo in un contatto qualificato e un cliente in un testimonial del brand.
Investire nell’Inbound Marketing significa quindi trasformare l’azienda da produttore di beni o servizi a fornitore di informazioni che insegnano, ispirano, intrattengono e guidano il consumatore nelle sue scelte d’acquisto.
L’Inbound Marketing richiede investimenti meno cospicui rispetto alle attività sui media tradizionali, ma non è gratis: generare dei contenuti di qualità ha un costo, così come “spingerli” (eventualmente) tramite attività di SEM e di social advertising.
Le campagne Google Ads (il nuovissimo nome di AdWords) e Facebook non vanno accantonate, ma ogni visitatore che viene raggiunto organicamente o convertito tramite le attività Inbound è budget risparmiato che può essere reinvestito.
Anche la tecnologia ha un suo peso: nel 2016 gli investimenti in piattaforme per il marketing hanno superato quelli in advertising (Gartner, 2016).
Il trend è motivato dalle opportunità offerte dalla marketing automation, di accentrare e integrare gli strumenti che compongono l’arsenale dei marketers (email, landing pages, social media) e di monitorare e misurare l’andamento delle diverse campagne per mezzo di un unico sistema integrato.
Ricorrere alla marketing automation, inoltre, permette di migliorare la lead generation in termini quantitativi e qualitativi (Pepper Global, 2014) e di aumentare del 20% le opportunità di vendita grazie al lead nurturing (Forrester, 2014).
Secondo SEMrush (SmartInsight, 2018), il numero di visite dirette a un sito impatta positivamente sulla sua posizione organica nella SERP. Considerando che la percentuale di click su un determinato risultato (CTR, “click through rate”) si abbassa in media del 25% tra il primo e il quinto posto, la necessità di apparire nella parte alta della pagina è evidente.
Come se non bastasse, tra gli altri indicatori che Google tiene in considerazione per premiare o penalizzare un sito figurano anche la durata delle sessioni, il numero di pagine visitate e la frequenza di rimbalzo.
La domanda sorge quindi spontanea: come aumentare le visite sul sito aziendale, trattenere per più tempo gli utenti e guadagnare un posto ai piani alti della SERP?
Attraverso contenuti di qualità e interessanti per l’utente, l’ingrediente principale dell’Inbound Marketing.
Si tratta di un processo che richiede tempo e costanza, perchè racchiude un insieme di azioni continuative volte alla costruzione di una reputazione su un determinato argomento.
È necessario acquisire la fiducia degli utenti e di Google, dimostrando che il nostro sito o il nostro blog sono una fonte informativa affidabile e utile per i visitatori.
Senza investire nell’Inbound Marketing, a meno di budget faraonici destinati ad attività di advertising, raggiungere questo risultato è molto difficile.